Abbiamo
incontrato Padre Angelo e il Vescovo Monsignor Pante e abbiamo
approfittato dell’occasione per approfondire la conoscenza della
realtà locale e porre delle domande, che purtroppo non possiamo
riportare testualmente, poiché non abbiamo registrato l’incontro,
ma che possiamo riassumere, cercando di salvaguardare il più
possibile la fedeltà dei contenuti.
D:
Come si delinea la cultura tradizionale Samburu?
R:
La loro storia non ha vissuto il fermento culturale dell’Africa
mediterranea e non è stata raggiunta dagli influssi arabi ed indiani
dell’Africa orientale. I Samburu hanno abitato per secoli e secoli
in totale isolamento, lontani dal progresso e da stili di vita
differenti. Le loro tradizioni non hanno vissuto sofisticazioni e
buona parte di loro resta fedele ai culti tramandati.
La
loro cultura esalta la forza, la violenza e le azioni impavide.
L’elemento di distinzione nella comunità è l’audacia e il
possesso di bestiame, anche a discapito della salute e
dell’istruzione. Preferiscono possedere un grande numero di
animali, seppur magri e incapaci di produrre latte, piuttosto che
averne un numero minore ma ben nutrito.
Compiono
atti ritenuti eroici, come rubare le mucche, per guadagnare prestigio
sociale, attrarre le donne e avere del bestiame da scambiare in
cambio di una moglie. L’ostentazione del valore dell’individuo si
alimenta nella sfida e nella competizione reciproca.
Per
tutti questi motivi prevalgono atteggiamenti di odio e prevaricazione
nei confronti delle altre tribù, contrasti violenti, antagonismo e
furti per il possesso di bestiame.
D:
Quali sono le modalità per cercare di risolvere tale situazione
conflittuale?
R:
La popolazione Turkana ha provato a difendersi dai soprusi e dalla
situazione di discriminazione, appellandosi alla corte di giustizia e
agli avvocati, ossia cercando la protezione del governo centrale.
Da
un lato il governo locale, costituito da Samburu, è stato condannato
per avere favorito i lavori esclusivamente ai membri della loro tribù
e per avere violato le leggi della costituzione, negando una
rappresentanza alle tribù minoritarie.
Per
altri versi questa situazione non ha fatto altro che fomentare l’odio
e le tensioni sociali. Per i Turkana è diventato sempre più
difficile svolgere attività lavorative. Un esempio su tutti: ai
Turkana è concesso di tenere aperta una macelleria a Maralal, ma la
legge locale impedisce loro la macellazione, rendendo così
impossibile la vendita di carne.
Per
comprendere al meglio le particolari interazioni sociali è
significativo ricordare quanto avvenuto nel periodo delle elezioni
nazionali del 2007. I Kikuyu, etnia dominante in Kenya, in
concomitanza con la vittoria delle elezioni, sono scappati da
Maralal, dove costituiscono una netta minoranza, per timore di
ritorsioni. Tuttavia le importazioni di cibo e le attività
economiche a Maralal sono gestite esclusivamente dai Kikuyu e con la
loro assenza la città si è trovata in breve tempo completamente
bloccata, senza commerci e con un’economia in crisi. Ai Samburu non
è rimasto altro da fare che pregare i Kikuyu di tornare in città,
ostentando riconoscenza e benevolenza nei loro confronti.
D:
Da quanto tempo dura la situazione conflittuale tra le tribù?
R:
Il conflitto tra tribù è in corso dall’inizio dei tempi.
Un
fattore che ha complicato la convivenza è stata la migrazione di
parte dei Turkana nel territorio in cui erano insediati i Samburu.
Un
altro aspetto influente è stata la delimitazione dei parchi
naturali. Per preservare queste aree dedicate agli animali selvatici,
ma soprattutto per soddisfare una squallida esigenza, meramente
turistica, di effettuare safari senza incontrare pastori e animali da
allevamento, il governo ha allontanato le tribù autoctone oltre i
confini di queste riserve naturali. In queste zone la sorveglianza
dei confini è intransigente e non ha mancato di degenerare in
sparatorie sui pastori che, in periodi di siccità, cercano
nutrimento per gli animali; tutto questo in completa antitesi con la
facilità con cui invece si può corrompere un guardia-parco per
effettuare bracconaggio, o per uccidere elefanti per l’avorio.
La
questione più rilevante tuttavia è costituita dalla recente
disponibilità di armi da fuoco tra la popolazione. Il loro impiego
ha trasformato delle tribù che si rincorrevano a piedi con le lance,
in piccoli, ma temibili, eserciti di guerriglieri, in grado di
effettuare violente incursioni nel territorio nemico, azioni di
rappresaglia e feroci razzie, con armi che si rivelano letali, al
contrario delle folkloristiche armi tradizionali.
D:
In quante persone possiedono armi?
R:
Chiunque, da semplici fucili ai diffusissimi mitra. Se un tempo
uccidere con le lance era complesso e faticoso, tanto da indurre ad abbandonare
spesso gli intenti belligeranti, ora uccidere è diventato semplice e
ordinario. Il numero di morti nei conflitti tribali è aumentato
vertiginosamente, sono scoppiate escalation di vendette, l’ostilità
è mutata ad un livello di violenza indiscriminata.
Il
territorio che si estende a nord di Maralal non vede la presenza di
anima viva, i campi sono incolti e l’erba cresce alta, senza
animali erbivori che pascolano, perché la popolazione vive
rintanata, per sfuggire ai costanti conflitti armati e nasconde il
bestiame, per non offrirsi a facili razzie. La vita da quelle parti è
un continuo rubarsi il bestiame a vicenda e spararsi contro, senza
che la situazione possa minimamente mutare o conciliarsi.
In
quelle zone si sono verificati anche casi di ecclesiastici uccisi:
l’ultimo tragico evento nel 1998. Anche Padre Angelo ci racconta di
avere segni di pallottole sulla macchina, ma di essere riuscito a
sfuggire alle situazioni più pericolose.
Bisogna
tuttavia distinguere gli assalti armati da semplici furti o
ritorsioni verso esponenti della chiesa, per il loro ruolo di
mediazione locale.
Ad
ogni modo c’è stato un morto a Wamba, a pochi chilometri da noi,
proprio nei giorni scorsi ed è altrettanto vero che, da qualche
tempo, i missionari non comunicano con preavviso i loro spostamenti
per paura di agguati lungo la strada.
D:
Che ruolo svolgono esercito e governo centrale e come vengono
percepiti dalla popolazione in queste zone?
R:
Il governo ha svolto un operato discutibile nella politica di
limitazione delle armi, mancando spesso anche di impostare una
politica accentrata, lasciando il compito della risoluzione dei
conflitti alle amministrazioni e alle organizzazioni locali.
I
politici e i governatori si fanno corrompere con estrema facilità.
La presenza della polizia e dell’esercito nelle zone più
problematiche del Paese è estremamente limitata e questo lascia
ampio spazio alla giustizia tribale e alla vendetta privata.
L’esercito
interviene solo sporadicamente e con interventi scenografici,
muovendosi tuttavia con timore e scarsa conoscenza del territorio e
delle insidie costituite dai gruppi armati locali.
La
maggior parte delle azioni dell’esercito si risolve in incursioni
lente e prevedibili con tanto di carri armati e mitra spianati, in
villaggi informati con anticipo del loro arrivo, dove si trovano solo
donne, bambini e anziani, concludendosi con qualche multa e qualche
sequestro di bestiame.
L’episodio
più drammatico ha visto un commando di 48 soldati spinti dai
guerriglieri locali in un territorio insidioso, per venire poi
assaltati e uccisi, nonché depredati di tutto l’equipaggiamento e
di tutti gli armamenti. Il rifugio di queste bande armate è una
piana desertica di oltre 200km nel nord del Kenya, priva di strade,
dove neppure gli elicotteri hanno il coraggio di avventurarsi senza
il timore di essere abbattuti.
D:
Se non può farlo il governo, come si può garantire la giustizia e
la pacificazione?
R:
Il modo migliore è sempre quello di cercare le soluzioni sul
territorio, promuovendo le interazioni positive esistenti tra queste
tribù. Ad esempio un modo tradizionale e pacifico per risolvere i
contenziosi prevede l’incontro degli anziani delle due controparti
in disputa, che si fronteggiano seduti sotto l’albero che fa più
ombra. Gli anziani costituiscono una grande risorsa per le speranze
di pacificazione.
Un
altro aspetto importante è responsabilizzare nei confronti degli
atti che si commettono, ad esempio accusando solo il colpevole ed
evitando ritorsioni generalizzate contro tutta la tribù. In questo
modo è la tribù stessa ad isolare le mele marce al suo
interno, diffondendo al contempo un ideale di giustizia ed equilibrio
che debbano essere rispettati.
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