Il nostro autista, nonché guida, è Jack e montando
sulla sua jeep ci lasciamo in breve tempo alle spalle la piccola cittadina di
Maralal, che ci ha accolto per più di una settimana di lavoro.
Attorno
a noi la terra dei Samburu è popolata da pastori adornati tradizionalmente e
numerosi animali al pascolo; rimaniamo colpiti dall’erba che spunta
millimetricamente dal terreno, colorando di verde brillante un manto uniforme e
cortissimo. L’autista ci spiega che ogni ciuffo d’erba rappresenta del cibo per
gli animali erbivori e per questo motivo non è possibile trovare dell’erba che
cresca più lunga.
Alternando
scrosci di pioggia a prepotenti schiarite, il tempo cambia costantemente, così
come il paesaggio. Ad ampie distese pianeggianti ed aride si susseguono
paesaggi montuosi, umide foreste, bagnate da corsi d’acqua e caratteristiche
colline che spuntano isolate nel mezzo della savana. Non si dimentichi che
tutto il territorio non scende quasi mai sotto i 2000mt di altitudine. La
varietà dei paesaggi ci lascia estasiati ed increduli.
Jack
ci informa che potremo avvistare parecchi animali in questa landa scarsamente
abitata e ancora preservata dalla civiltà; così ci concentriamo su ciascun
dettaglio attorno a noi e ogni macchia nella vegetazione inganna i nostri
sguardi eccitati, mostrandoci un elefante che in realtà non esiste.
Quando
scorgiamo davvero degli animali, Jack è disponibile a fermarsi per consentirci
di fotografare ed ammirare le bellezze del luogo. Durante il viaggio le zebre
sono una costante, i dromedari talvolta camminano a lato della carreggiata, non
manca di attraversarci la strada una sorta di scoiattolo, ma a colpirci di più
sono senza dubbio le gazzelle e i dick dick.
Ad
un tratto un bambino Samburu si affaccia al finestrino dalla vettura e comunica
in lingua locale a Jack che, nel territorio che stiamo attraversando, sono in
movimento pure gli elefanti. Tuttavia la fitta foresta non ci consente di
averne prova e ci limitiamo a vedere dei guerrieri Samburu sorvegliare il
territorio e il bestiame dall’alto delle rocce.
Jack
ci mostra anche un punto in cui la strada si stringe e costringe a rallentare
per attraversare il guado di un fiume in secca. Il nostro autista sorridendo ci
comunica che quello è un luogo utilizzato dai Samburu per effettuare agguati alle
macchine di passaggio, poiché in quel punto il transito avviene quasi a passo
d’uomo. Incalzato dalle nostre domande Jack ci racconta che in quasi 25 anni di
servizio come autista per NGOs, associazioni e diocesi, ha subito tre assalti
armati in cui i passeggeri e i bagagli sono stati depredati e almeno una decina
di situazioni in cui solo la velocità gli ha dato la possibilità di sfuggire al
pericolo.
Il
nostro viaggio prevede una tappa all’ospedale di Wamba. Poiché l’ospedale dei
bambini è interessato a realizzare un impianto fotovoltaico, ci rechiamo lì per
effettuare un sopraluogo e fotografare i tetti, l’impianto elettrico e i
generatori a gasolio. L’energia fornita dalla rete elettrica in Kenya, come
abbiamo già avuto modo di ricordare, è intermittente e quando manca, impone
l’utilizzo di combustibili fossili costosi ed inquinanti. A questo si aggiunga
che, in strutture come gli ospedali, i generatori a gasolio devono restare sempre
accesi in stand-by, per potersi attivare istantaneamente appena la corrente
dovesse venire a mancare nelle sale operatorie. Un impianto fotovoltaico dotato
di batterie di accumulo, rappresenta per queste strutture un’ottima
alternativa, economica e pulita.
Nel
pomeriggio si aggiunge a noi Jane, la quale dall’ospedale di Wamba, sfrutta il
nostro passaggio, per raggiungere Nairobi. Jane è di Maralal, conosce bene Jack
e lavora nell’ufficio del vescovo di Maralal.
Ad
un tratto è lei a girarsi verso di noi e chiederci di smettere di fotografare.
Jack, che non aveva certo moderato la velocità nel resto del tragitto, spinge
forte sull’acceleratore. Prossimi al calare della sera, pensiamo di essere in
ritardo. La strada si infila in una gola stretta e disabitata tra due montagne
e le rare vetture che incontriamo, dirette nel senso opposto, alzando un gran
polverone, sfrecciano addirittura più veloci di noi.
Solo
dopo alcuni lunghi minuti, lasciato indietro il canyon, l’orizzonte si riapre
attorno a noi, i nostri accompagnatori si scusano, rallentano e riaprono i
finestrini, spiegando che in quella zona i gruppi armati infestano il percorso
e solo la settimana precedente la comitiva di un safari era stata raggiunta da
colpi di armi da fuoco nell’abitacolo e depredata. La stessa Jane ci comunica
di avere perso sua sorella in quella strada qualche anno prima.
Tirando
un sospiro di sollievo, raggiungiamo finalmente l’asfalto, la civiltà e una
strada dritta e sicura, che ci porterà ad Isiolo dove pernotteremo.
Il
tramonto non manca di regalarci un’ultima sorpresa: ai piedi di un ponte
numerosi babbuini tornano verso la foresta, attraversando a pochi passi da noi
e dandoci la possibilità di avvicinarci a pochi metri di distanza. Jane ci
spiega come spesso i babbuini non abbiano paura dell’uomo e sia possibile
arrivare a contatto con loro, mentre invece il problema riguardi piuttosto le
loro malattie e l’improvvisa aggressività. Decisi a rischiare, li inseguiamo,
ma evidentemente anche loro sono desiderosi di tornare a casa e ci distanziano
addentrandosi tra gli arbusti.
Isiolo
è una città molto più grande di Maralal, meno isolata dalle attività
produttive, più economica e popolata da una grande componente di musulmani e
Somali. Qui non ci lasciamo sfuggire l’opportunità di bere una birra con i
nostri esperti accompagnatori, fare una chiacchierata in inglese, conoscere la
birra locale ed alcune curiosità del Kenya. Nonostante la piacevole serata, le
ore di viaggio si fanno sentire e raggiungiamo il letto in breve tempo.
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