sabato 22 marzo 2014

IL PREZZO DEL PROGRESSO



Il viaggio verso Nairobi ci mostra la notevole differenza di sviluppo tra nord e sud del Paese, ci svela tante contraddizioni, fornendo spunti di riflessione.
Il nord, dove abbiamo soggiornato per costruire l’impianto fotovoltaico, è isolato dalla capitale e dagli altri centri urbani principali, arretrato e soggetto ad una dimensione tribale. Le strade di collegamento sono poche, sterrate e per certi periodi dell’anno allagate ed impraticabili. Prevale la cultura tradizionale Samburu, Turkana e Pokot, l’allevamento e l’economia di sussistenza. Storicamente le contaminazioni culturali sono state esigue, la stessa colonizzazione inglese è stata poco consistente e l’autorizzazione ad aprire delle case missionarie è ben più recente che nel resto del Paese.


Al contrario l’economia del sud è decisamente più sviluppata, i centri abitati sono più grandi, il territorio è più favorevole, la cultura, prevalentemente Kikuyu e Kalenjin, è più avanzata e risente delle contaminazioni del progresso occidentale.
Si possono vedere vaste piantagioni di frumento, frutta, thè, caffè, fiori, oltre a serre per gli ortaggi. Non mancano le industrie: i cementifici si susseguono, buona parte della popolazione è operosa e Nairobi è costantemente avvolta da una preoccupante nuvola grigia di inquinamento.


Nonostante non ci sia paragone con la situazione del nord, tuttavia il tenore di vita al sud è mediamente basso, la povertà tangibile e non mancano scenari tristi e degradanti.
L’economia e i terreni sono controllati dalle multinazionali occidentali, che si servono di una manodopera miseramente salariata, quasi senza redristibuire ricchezza e sviluppo sul territorio. Rabbrividiamo scorgendo anche alcuni nomi di compagnie italiane, ai quali siamo tristemente abituati, accostati a scenari di estrema povertà e sfruttamento. Non ci viene difficile supporre che, senza l’oppressione straniera, il clima e la morfologia del Kenya sarebbero sufficientementi per garantire al Paese di liberare la popolazione dalla fame.


I destini della popolazione ci sembrano strettamente legati alla prepotenza della subordinazione di matrice occidentale e alla possibilità di raggiungere una situazione sociale più progredita.
Inadatti tuttavia a fornire un’analisi precisa e lucida di quanto incontrato, soprattutto per la distanza che ci separa dalla mentalità e dalle abitudini locali, non possiamo che limitarci ad un paio di considerazioni elementari e probabilmente iperboliche.

In primo luogo non possiamo che constatare numerose realtà virtuse, a partire dalle NGOs, le diocesi e le svariate opere di volontariato. Queste hanno avuto il merito di portare progresso e cultura, favorendo pacificazione, istruzione, forme di autosostentamento, nonché l’arrivo di fondi e infrastrutture. Risulta opportuno sottolineare come tutto ciò rappresenti molto spesso l’unica possibilità di promozione sociale, con il grande merito di essere disponibile a chiunque e nei termini di una scelta libera e volontaria, in un territorio difficile e diffusamente problematico.
D’altra parte ci domandiamo se il progresso non assuma fin troppo spesso la forma subdola della misura dei valori, capace di dettare i consumi, le abitudini e i costumi, adatto a negare le alterità, piuttosto che a promuoverle. Inteso come modello totalizzante, vincente ed unico, potrebbe violentare una cultura millenaria ed altrettanto degna di potersi esprimere, finendo per sostituirsi ad essa.
Non vorremmo davvero tornare in Kenya e scoprire che della cultura Samburu, che ci ha così colpito e affascinato, non rimanga altro che una sala da museo e qualche fantoccio, in apposite riserve turistiche, appesantito da smartphone e tablet d’avanguardia nelle tasche.
 

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