sabato 22 marzo 2014

IL PREZZO DEL PROGRESSO



Il viaggio verso Nairobi ci mostra la notevole differenza di sviluppo tra nord e sud del Paese, ci svela tante contraddizioni, fornendo spunti di riflessione.
Il nord, dove abbiamo soggiornato per costruire l’impianto fotovoltaico, è isolato dalla capitale e dagli altri centri urbani principali, arretrato e soggetto ad una dimensione tribale. Le strade di collegamento sono poche, sterrate e per certi periodi dell’anno allagate ed impraticabili. Prevale la cultura tradizionale Samburu, Turkana e Pokot, l’allevamento e l’economia di sussistenza. Storicamente le contaminazioni culturali sono state esigue, la stessa colonizzazione inglese è stata poco consistente e l’autorizzazione ad aprire delle case missionarie è ben più recente che nel resto del Paese.


Al contrario l’economia del sud è decisamente più sviluppata, i centri abitati sono più grandi, il territorio è più favorevole, la cultura, prevalentemente Kikuyu e Kalenjin, è più avanzata e risente delle contaminazioni del progresso occidentale.
Si possono vedere vaste piantagioni di frumento, frutta, thè, caffè, fiori, oltre a serre per gli ortaggi. Non mancano le industrie: i cementifici si susseguono, buona parte della popolazione è operosa e Nairobi è costantemente avvolta da una preoccupante nuvola grigia di inquinamento.


Nonostante non ci sia paragone con la situazione del nord, tuttavia il tenore di vita al sud è mediamente basso, la povertà tangibile e non mancano scenari tristi e degradanti.
L’economia e i terreni sono controllati dalle multinazionali occidentali, che si servono di una manodopera miseramente salariata, quasi senza redristibuire ricchezza e sviluppo sul territorio. Rabbrividiamo scorgendo anche alcuni nomi di compagnie italiane, ai quali siamo tristemente abituati, accostati a scenari di estrema povertà e sfruttamento. Non ci viene difficile supporre che, senza l’oppressione straniera, il clima e la morfologia del Kenya sarebbero sufficientementi per garantire al Paese di liberare la popolazione dalla fame.


I destini della popolazione ci sembrano strettamente legati alla prepotenza della subordinazione di matrice occidentale e alla possibilità di raggiungere una situazione sociale più progredita.
Inadatti tuttavia a fornire un’analisi precisa e lucida di quanto incontrato, soprattutto per la distanza che ci separa dalla mentalità e dalle abitudini locali, non possiamo che limitarci ad un paio di considerazioni elementari e probabilmente iperboliche.

In primo luogo non possiamo che constatare numerose realtà virtuse, a partire dalle NGOs, le diocesi e le svariate opere di volontariato. Queste hanno avuto il merito di portare progresso e cultura, favorendo pacificazione, istruzione, forme di autosostentamento, nonché l’arrivo di fondi e infrastrutture. Risulta opportuno sottolineare come tutto ciò rappresenti molto spesso l’unica possibilità di promozione sociale, con il grande merito di essere disponibile a chiunque e nei termini di una scelta libera e volontaria, in un territorio difficile e diffusamente problematico.
D’altra parte ci domandiamo se il progresso non assuma fin troppo spesso la forma subdola della misura dei valori, capace di dettare i consumi, le abitudini e i costumi, adatto a negare le alterità, piuttosto che a promuoverle. Inteso come modello totalizzante, vincente ed unico, potrebbe violentare una cultura millenaria ed altrettanto degna di potersi esprimere, finendo per sostituirsi ad essa.
Non vorremmo davvero tornare in Kenya e scoprire che della cultura Samburu, che ci ha così colpito e affascinato, non rimanga altro che una sala da museo e qualche fantoccio, in apposite riserve turistiche, appesantito da smartphone e tablet d’avanguardia nelle tasche.
 

CURIOSITA' DAL KENYA



L’omosessualità è vietata per legge: le coppie dello stesso sesso sono guardate con sospetto e in alcuni alberghi o pub è addirittura proibito pernottare o sedersi se si è in due dello stesso sesso, a prescindere dall’orientamento sessuale.
Le strade sono prive di luci, guardrails e sorpassi folli sono la consuetudine tra gli spericolati automobilisti.
La Miraa è una pianta legale, con un principio attivo della famiglia delle anfetamine, che la popolazione mastica con assiduità. A causa dell’effetto lievemente eccitante è consumata in particolare da autisti o persone soggette a lavori faticosi o stressanti. Gli effetti collaterali di un abuso variano dalle allucinazioni e alle alterazioni della percezione e forse, proprio per questo, è vietata nei Paesi confinanti. La Miraa tuttavia, in alcune società, vanta una tradizione radicata e più antica del caffè.
I posti di blocco della polizia sono armati e frequenti e per liberarsi dagli agenti più minuziosi molto spesso è necessario lasciare del denaro, nonostante sia riportata la scritta: free corruption.
Il campionato di calcio inglese in Kenya è seguitissimo.
Per le costruzioni edili si usano esclusivamente ponteggi di legno.
Le strade quasi ovunque sono prive di segnaletica, in quanto questa viene rubata per riutilizzare il metallo dei cartelli.
Con il corrispettivo di circa 70 € si può comprare il tronco di un albero alto più di un palo della luce.
Il vescovo di Maralal è una personaità incredibile: si narra che abbia percorso oltre 4000 Km di sterrato con un motociclo 125cc in Uganda durante la guerra civile, pare che abbia visitato luoghi ancora inespolarati, dove nessuno aveva ancora visto un uomo bianco, è noto che vada a caccia e che al suo ufficio lavorino anche persone di religione musulmana.
La viabilità in Kenya prevede la guida sulla destra.
Il Kenya è attraversato dall’equatore: a pochi centrimetri di distanza è possibile osservare i gorghi di un liquido formarsi in senso orario ed antiorario.





giovedì 20 marzo 2014

UNA STORIA DI ANIMALI DAL CUORE DELL'AFRICA

Tratto da una storia vera avvenuta nel 2002, secondo la testimonianza The Lioness and the Lamb documentata da Brigitte Meissel.

C'era una volta una leonessa che viveva nella riserva naturale di Parco Samburu, in Kenya. Un giorno incontrò sulla sua strada un cucciolo di gazzella, che era stato abbandonato e cominciò a seguirlo. Mossa a compassione dal triste destino capitato allo sventurato animale, prese a leccarlo e decise di adottarlo e portarlo con sé.
I rangers e i turisti ebbero modo di vedere la leonessa e la gazzella camminare assieme nel parco e in breve tempo tutto il Paese rimase strabiliato dall'incredibile avvenimento.
Un brutto giorno, a poca distanza da quando la notizia divenne nota, apparve un grosso leone, che irritato dalle attenzioni che la leonessa dedicava ad una gazzella, balzò con un potente ruggito e se la mangiò.
Ma questa non è ancora la fine della storia: la leonessa trovò un altro cucciolo di gazzella che si era allontanato dal branco e amorevolmente lo prese con sé per proteggerlo e cominciò ad accudirlo.
Tuttavia quando il branco di gazzelle chiamava il cucciolo per nutrirlo, la leonessa lo lasciava andare, perché tutte le volte il piccolo tornava dalla leonessa.
Ad ogni modo dopo poche settimane la leonessa scomparve e neppure i rangers seppero più nulla di lei.
Fine della storia.

L'evento è stato fotografato e filmato e grazie ai giornalisti la notizia ha avuto visibilità in tutto il mondo.
Anche giornali stranieri hanno dedicato articoli e foto all'avvenimento.
Tre mesi prima dell'accaduto il vescovo di Maralal aveva adottato come stemma della sua diocesi un leone e una gazzella assieme, come simbolo di pace.
Le tribù Samburu derisero l'accostamento, a causa della rivalità naturale tra questi animali, ma quando vennero a conoscenza della miracolosa circostanza, inviarono una delegazione al vescovo.
Gli esperti diedero una spiegazione all'accaduto: quando le leonesse accudiscono i cuccioli, non vanno in calore e non sono interessate ai maschi, i quali per tornare ad ottenere attenzioni dalla femmina, talvolta possano addirittura uccidere i cuccioli della leonessa. Alla leonessa in questione doveva essere successo qualcosa del genere e cercando invano il suo cucciolo, deve essersi imbattuta in un cucciolo simile, soprattutto per il colore, e averlo adottato come se fosse proprio.
In memoria della storia della leonessa e della gazzella, il Kenya produsse un francobollo rappresentante un leone e una gazzella.



DA MARALAL AD ISIOLO



Il nostro autista, nonché guida, è Jack e montando sulla sua jeep ci lasciamo in breve tempo alle spalle la piccola cittadina di Maralal, che ci ha accolto per più di una settimana di lavoro.




Attorno a noi la terra dei Samburu è popolata da pastori adornati tradizionalmente e numerosi animali al pascolo; rimaniamo colpiti dall’erba che spunta millimetricamente dal terreno, colorando di verde brillante un manto uniforme e cortissimo. L’autista ci spiega che ogni ciuffo d’erba rappresenta del cibo per gli animali erbivori e per questo motivo non è possibile trovare dell’erba che cresca più lunga.




Alternando scrosci di pioggia a prepotenti schiarite, il tempo cambia costantemente, così come il paesaggio. Ad ampie distese pianeggianti ed aride si susseguono paesaggi montuosi, umide foreste, bagnate da corsi d’acqua e caratteristiche colline che spuntano isolate nel mezzo della savana. Non si dimentichi che tutto il territorio non scende quasi mai sotto i 2000mt di altitudine. La varietà dei paesaggi ci lascia estasiati ed increduli.



Jack ci informa che potremo avvistare parecchi animali in questa landa scarsamente abitata e ancora preservata dalla civiltà; così ci concentriamo su ciascun dettaglio attorno a noi e ogni macchia nella vegetazione inganna i nostri sguardi eccitati, mostrandoci un elefante che in realtà non esiste.
Quando scorgiamo davvero degli animali, Jack è disponibile a fermarsi per consentirci di fotografare ed ammirare le bellezze del luogo. Durante il viaggio le zebre sono una costante, i dromedari talvolta camminano a lato della carreggiata, non manca di attraversarci la strada una sorta di scoiattolo, ma a colpirci di più sono senza dubbio le gazzelle e i dick dick.




Ad un tratto un bambino Samburu si affaccia al finestrino dalla vettura e comunica in lingua locale a Jack che, nel territorio che stiamo attraversando, sono in movimento pure gli elefanti. Tuttavia la fitta foresta non ci consente di averne prova e ci limitiamo a vedere dei guerrieri Samburu sorvegliare il territorio e il bestiame dall’alto delle rocce.






Jack ci mostra anche un punto in cui la strada si stringe e costringe a rallentare per attraversare il guado di un fiume in secca. Il nostro autista sorridendo ci comunica che quello è un luogo utilizzato dai Samburu per effettuare agguati alle macchine di passaggio, poiché in quel punto il transito avviene quasi a passo d’uomo. Incalzato dalle nostre domande Jack ci racconta che in quasi 25 anni di servizio come autista per NGOs, associazioni e diocesi, ha subito tre assalti armati in cui i passeggeri e i bagagli sono stati depredati e almeno una decina di situazioni in cui solo la velocità gli ha dato la possibilità di sfuggire al pericolo.




Il nostro viaggio prevede una tappa all’ospedale di Wamba. Poiché l’ospedale dei bambini è interessato a realizzare un impianto fotovoltaico, ci rechiamo lì per effettuare un sopraluogo e fotografare i tetti, l’impianto elettrico e i generatori a gasolio. L’energia fornita dalla rete elettrica in Kenya, come abbiamo già avuto modo di ricordare, è intermittente e quando manca, impone l’utilizzo di combustibili fossili costosi ed inquinanti. A questo si aggiunga che, in strutture come gli ospedali, i generatori a gasolio devono restare sempre accesi in stand-by, per potersi attivare istantaneamente appena la corrente dovesse venire a mancare nelle sale operatorie. Un impianto fotovoltaico dotato di batterie di accumulo, rappresenta per queste strutture un’ottima alternativa, economica e pulita.






Nel pomeriggio si aggiunge a noi Jane, la quale dall’ospedale di Wamba, sfrutta il nostro passaggio, per raggiungere Nairobi. Jane è di Maralal, conosce bene Jack e lavora nell’ufficio del vescovo di Maralal.
Ad un tratto è lei a girarsi verso di noi e chiederci di smettere di fotografare. Jack, che non aveva certo moderato la velocità nel resto del tragitto, spinge forte sull’acceleratore. Prossimi al calare della sera, pensiamo di essere in ritardo. La strada si infila in una gola stretta e disabitata tra due montagne e le rare vetture che incontriamo, dirette nel senso opposto, alzando un gran polverone, sfrecciano addirittura più veloci di noi.
Solo dopo alcuni lunghi minuti, lasciato indietro il canyon, l’orizzonte si riapre attorno a noi, i nostri accompagnatori si scusano, rallentano e riaprono i finestrini, spiegando che in quella zona i gruppi armati infestano il percorso e solo la settimana precedente la comitiva di un safari era stata raggiunta da colpi di armi da fuoco nell’abitacolo e depredata. La stessa Jane ci comunica di avere perso sua sorella in quella strada qualche anno prima.
Tirando un sospiro di sollievo, raggiungiamo finalmente l’asfalto, la civiltà e una strada dritta e sicura, che ci porterà ad Isiolo dove pernotteremo.
Il tramonto non manca di regalarci un’ultima sorpresa: ai piedi di un ponte numerosi babbuini tornano verso la foresta, attraversando a pochi passi da noi e dandoci la possibilità di avvicinarci a pochi metri di distanza. Jane ci spiega come spesso i babbuini non abbiano paura dell’uomo e sia possibile arrivare a contatto con loro, mentre invece il problema riguardi piuttosto le loro malattie e l’improvvisa aggressività. Decisi a rischiare, li inseguiamo, ma evidentemente anche loro sono desiderosi di tornare a casa e ci distanziano addentrandosi tra gli arbusti.



Isiolo è una città molto più grande di Maralal, meno isolata dalle attività produttive, più economica e popolata da una grande componente di musulmani e Somali. Qui non ci lasciamo sfuggire l’opportunità di bere una birra con i nostri esperti accompagnatori, fare una chiacchierata in inglese, conoscere la birra locale ed alcune curiosità del Kenya. Nonostante la piacevole serata, le ore di viaggio si fanno sentire e raggiungiamo il letto in breve tempo.

FINE LAVORI



Martedì è il giorno della fine lavori. L’impianto elettrico è ultimato e non resta che effettuare gli indispensabili controlli di routine, per controllare che ogni componente funzioni a dovere e per programmare gli inverter e il software che gestisce l’impianto. Si tratta di una parte molto delicata, che ci tiene occupati fino all’ora di pranzo.
Scusandoci con l’autista, tardiamo a partire per caricare le batterie ed istruire Leonard sulla manutenzione.
In realtà un impianto fotovoltaico non richiede pressoché alcuna manutenzione, tuttavia è opportuno avere una persona in grado di conoscere il funzionamento dell’impianto se dovessero manifestarsi eventualità impreviste.
Inoltre considerando la nostra imminente partenza e la distanza che ci lasceremo alle spalle, è necessario avere formato qualcuno capace di comunicarci i rapporti sull’efficienza dell’impianto, affinché sia possibile per noi monitorare costantemente la situazione dall’Italia.
Ad ogni modo dopo pranzo constatiamo che le batterie sono cariche e tutto funziona a meraviglia! Siamo soddisfatti di vedere il nostro impegno e le tante ore di lavoro premiate da un buon risultato e dalle facce contente di chi usufruirà dell’energia che viene prodotta.
Con tanti saluti calorosi e le foto ricordo, partiamo per un viaggio a tappe che ci porterà fino a Nairobi per il volo di ritorno.




lunedì 17 marzo 2014

COSA SI MANGIA IN KENYA

In questi giorni di lavoro abbiamo mangiato ciò che hanno cucinato per noi le donne della mensa missionaria. Nonostante avessero insistito per prepararci del cibo italiano, da parte nostra abbiamo ottenuto di farci portare, quanto più possibile, dei piatti locali, per conoscere nuove ricette e nuovi sapori. In fondo una cultura diversa si comprende anche dalla cucina!


In breve tempo ci siamo accorti che ciò che ci veniva servito, era tuttavia abbondante, vario e, rispetto alla disponibilità locale, ricercato.
Interessati a comprendere ciò che succedeva oltre il cancello della struttura missionaria, abbiamo domandato in cosa consistessero le tradizioni alimentari della popolazione locale, che in questa regione è composta principalmente dalle tribù Samburu e Turkana, che si conservano fedeli alle antiche usanze di allevatori nomadi.
Naturalmente a Maralal le gelateria che alimentiamo produce gelati per la città, ma presso la popolazione tribale il regime alimentare è costituito, quasi nella totalità, da carne e prodotti ricavati da latte e sangue animale.


Non bisogna credere che questo comporti abbondanza di carne nelle diete, infatti il bestiame rappresenta l’unico patrimonio di un nucleo famigliare e non può decrescere numericamente in maniera consistente.



Ci troviamo a riflettere sulle sostanziali differenze rispetto alla nostra dieta mediterranea e sulla questione economica, essendo la carne il prodotto più facilmente reperibile, mentre frutta e verdura, quali alimenti di importazione, riservati ad una elite più ricca.
Non tardiamo a renderci conto che, quando il rifiuto verso i maltrattamenti sugli animali, le esasperazioni nei processi di allevamento, l’inquinamento e la mercificazione della vita di un animale, prende la forma di una scelta alimentare vegetariana, questa non può che essere un risultato esclusivo della società occidentale.


Vedere sgozzare una capra in queste zone è sicuramente un contenuto forte a livello razionale, perché si tratta pur sempre di una vita che viene bruscamente interrotta, ma ci colpisce molto meno a livello viscerale. Il pastore rispetta le proprie bestie in quanto animali e le tratta come prezioso cibo, senza spreco, una volta che le uccide. Senza business. Senza artificialità. Semplicemente è di questo che si nutrono i pastori, secondo una elementare necessità di sopravvivenza.

CURIOSITA' DA MARALAL - KENYA

A Maralal un discount di dimensioni irrisorie, sperduto nella savana, rilascia lo scontrino.
Sul retro della banconota da 1000 scellini sono stampati gli elefanti.
Tra i Samburu le maledizioni incutono grande timore e spesso diventano una minaccia per ottenere qualcosa da qualcuno.
La tarantola è un’insidia frequente in queste zone.
Nella cultura tribale dimostrare di sapere uccidere un elefante corrisponde a due sacchi di zucchero come premio.
In centro a Maralal si può cenare all’Hard Rock Cafè, nonostante non abbia nulla a che vedere con la rinomata catena.
In queste zone del Kenya l’energia elettrica può interrompersi per oltre tre giorni di fila.
I medici non vogliono lavorare negli ospedali delle città più povere, perché non possono aprire anche un ambulatorio privato, (in quanto nessuno può pagare) e percepirebbero solo lo stipendio previsto dal governo.
Per corrompere un funzionario pubblico o gli anziani capi tribù bastano poche casse di birra, ma nelle dovute proporzioni economiche, il fenomeno della corruzione non è affatto diverso dalla situazione italiana.
In un campeggio per turisti il prezzo di un pernottamento, dove il rapporto qualità prezzo è basso, è di circa 2,7 €.
Il saluto più comune in lingua locale è :jambo.
La maledizione più potente è lanciata dalle donne mostrando in pubblico i genitali: arrrivi così la morte da dove nasce la vita. Di fronte a questo gesto così potente e significativo chiunque resta sconvolto e intimorito.
Se due uomini camminano per mano non sono omosessuali, bensì compagni di circoncisione e si ritengono come fratelli, essendo stati circoncisi lo stesso giorno.
Per i Samburu zebre ed elefanti sono animali sacri e nonostante le zebre siano alquanto frequenti, piuttosto che mangiarle preferiscono morire di fame.







domenica 16 marzo 2014

SI SCENDE DAL TETTO

Sabato ultimiamo la posa dei pannelli, sistemiamo gli ultimi dettagli sul tetto e possiamo dedicarci esclusivamente all'impianto elettrico. Decidiamo di uscire a cena il giorno seguente e combattiamo la nostalgia di casa collegandoci all'Italia con tutti i mezzi tecnologici a nostra disposizione.


INTERVISTA A PADRE ANGELO E MONSIGNOR PANTE

Abbiamo incontrato Padre Angelo e il Vescovo Monsignor Pante e abbiamo approfittato dell’occasione per approfondire la conoscenza della realtà locale e porre delle domande, che purtroppo non possiamo riportare testualmente, poiché non abbiamo registrato l’incontro, ma che possiamo riassumere, cercando di salvaguardare il più possibile la fedeltà dei contenuti.

D: Come si delinea la cultura tradizionale Samburu?
R: La loro storia non ha vissuto il fermento culturale dell’Africa mediterranea e non è stata raggiunta dagli influssi arabi ed indiani dell’Africa orientale. I Samburu hanno abitato per secoli e secoli in totale isolamento, lontani dal progresso e da stili di vita differenti. Le loro tradizioni non hanno vissuto sofisticazioni e buona parte di loro resta fedele ai culti tramandati.
La loro cultura esalta la forza, la violenza e le azioni impavide. L’elemento di distinzione nella comunità è l’audacia e il possesso di bestiame, anche a discapito della salute e dell’istruzione. Preferiscono possedere un grande numero di animali, seppur magri e incapaci di produrre latte, piuttosto che averne un numero minore ma ben nutrito.
Compiono atti ritenuti eroici, come rubare le mucche, per guadagnare prestigio sociale, attrarre le donne e avere del bestiame da scambiare in cambio di una moglie. L’ostentazione del valore dell’individuo si alimenta nella sfida e nella competizione reciproca.
Per tutti questi motivi prevalgono atteggiamenti di odio e prevaricazione nei confronti delle altre tribù, contrasti violenti, antagonismo e furti per il possesso di bestiame.






D: Quali sono le modalità per cercare di risolvere tale situazione conflittuale?
R: La popolazione Turkana ha provato a difendersi dai soprusi e dalla situazione di discriminazione, appellandosi alla corte di giustizia e agli avvocati, ossia cercando la protezione del governo centrale.
Da un lato il governo locale, costituito da Samburu, è stato condannato per avere favorito i lavori esclusivamente ai membri della loro tribù e per avere violato le leggi della costituzione, negando una rappresentanza alle tribù minoritarie.
Per altri versi questa situazione non ha fatto altro che fomentare l’odio e le tensioni sociali. Per i Turkana è diventato sempre più difficile svolgere attività lavorative. Un esempio su tutti: ai Turkana è concesso di tenere aperta una macelleria a Maralal, ma la legge locale impedisce loro la macellazione, rendendo così impossibile la vendita di carne.
Per comprendere al meglio le particolari interazioni sociali è significativo ricordare quanto avvenuto nel periodo delle elezioni nazionali del 2007. I Kikuyu, etnia dominante in Kenya, in concomitanza con la vittoria delle elezioni, sono scappati da Maralal, dove costituiscono una netta minoranza, per timore di ritorsioni. Tuttavia le importazioni di cibo e le attività economiche a Maralal sono gestite esclusivamente dai Kikuyu e con la loro assenza la città si è trovata in breve tempo completamente bloccata, senza commerci e con un’economia in crisi. Ai Samburu non è rimasto altro da fare che pregare i Kikuyu di tornare in città, ostentando riconoscenza e benevolenza nei loro confronti.

D: Da quanto tempo dura la situazione conflittuale tra le tribù?
R: Il conflitto tra tribù è in corso dall’inizio dei tempi.
Un fattore che ha complicato la convivenza è stata la migrazione di parte dei Turkana nel territorio in cui erano insediati i Samburu.
Un altro aspetto influente è stata la delimitazione dei parchi naturali. Per preservare queste aree dedicate agli animali selvatici, ma soprattutto per soddisfare una squallida esigenza, meramente turistica, di effettuare safari senza incontrare pastori e animali da allevamento, il governo ha allontanato le tribù autoctone oltre i confini di queste riserve naturali. In queste zone la sorveglianza dei confini è intransigente e non ha mancato di degenerare in sparatorie sui pastori che, in periodi di siccità, cercano nutrimento per gli animali; tutto questo in completa antitesi con la facilità con cui invece si può corrompere un guardia-parco per effettuare bracconaggio, o per uccidere elefanti per l’avorio.
La questione più rilevante tuttavia è costituita dalla recente disponibilità di armi da fuoco tra la popolazione. Il loro impiego ha trasformato delle tribù che si rincorrevano a piedi con le lance, in piccoli, ma temibili, eserciti di guerriglieri, in grado di effettuare violente incursioni nel territorio nemico, azioni di rappresaglia e feroci razzie, con armi che si rivelano letali, al contrario delle folkloristiche armi tradizionali.






D: In quante persone possiedono armi?
R: Chiunque, da semplici fucili ai diffusissimi mitra. Se un tempo uccidere con le lance era complesso e faticoso, tanto da indurre ad abbandonare spesso gli intenti belligeranti, ora uccidere è diventato semplice e ordinario. Il numero di morti nei conflitti tribali è aumentato vertiginosamente, sono scoppiate escalation di vendette, l’ostilità è mutata ad un livello di violenza indiscriminata.
Il territorio che si estende a nord di Maralal non vede la presenza di anima viva, i campi sono incolti e l’erba cresce alta, senza animali erbivori che pascolano, perché la popolazione vive rintanata, per sfuggire ai costanti conflitti armati e nasconde il bestiame, per non offrirsi a facili razzie. La vita da quelle parti è un continuo rubarsi il bestiame a vicenda e spararsi contro, senza che la situazione possa minimamente mutare o conciliarsi.
In quelle zone si sono verificati anche casi di ecclesiastici uccisi: l’ultimo tragico evento nel 1998. Anche Padre Angelo ci racconta di avere segni di pallottole sulla macchina, ma di essere riuscito a sfuggire alle situazioni più pericolose.
Bisogna tuttavia distinguere gli assalti armati da semplici furti o ritorsioni verso esponenti della chiesa, per il loro ruolo di mediazione locale.
Ad ogni modo c’è stato un morto a Wamba, a pochi chilometri da noi, proprio nei giorni scorsi ed è altrettanto vero che, da qualche tempo, i missionari non comunicano con preavviso i loro spostamenti per paura di agguati lungo la strada.

D: Che ruolo svolgono esercito e governo centrale e come vengono percepiti dalla popolazione in queste zone?
R: Il governo ha svolto un operato discutibile nella politica di limitazione delle armi, mancando spesso anche di impostare una politica accentrata, lasciando il compito della risoluzione dei conflitti alle amministrazioni e alle organizzazioni locali.
I politici e i governatori si fanno corrompere con estrema facilità. La presenza della polizia e dell’esercito nelle zone più problematiche del Paese è estremamente limitata e questo lascia ampio spazio alla giustizia tribale e alla vendetta privata.
L’esercito interviene solo sporadicamente e con interventi scenografici, muovendosi tuttavia con timore e scarsa conoscenza del territorio e delle insidie costituite dai gruppi armati locali.
La maggior parte delle azioni dell’esercito si risolve in incursioni lente e prevedibili con tanto di carri armati e mitra spianati, in villaggi informati con anticipo del loro arrivo, dove si trovano solo donne, bambini e anziani, concludendosi con qualche multa e qualche sequestro di bestiame.
L’episodio più drammatico ha visto un commando di 48 soldati spinti dai guerriglieri locali in un territorio insidioso, per venire poi assaltati e uccisi, nonché depredati di tutto l’equipaggiamento e di tutti gli armamenti. Il rifugio di queste bande armate è una piana desertica di oltre 200km nel nord del Kenya, priva di strade, dove neppure gli elicotteri hanno il coraggio di avventurarsi senza il timore di essere abbattuti.

D: Se non può farlo il governo, come si può garantire la giustizia e la pacificazione?
R: Il modo migliore è sempre quello di cercare le soluzioni sul territorio, promuovendo le interazioni positive esistenti tra queste tribù. Ad esempio un modo tradizionale e pacifico per risolvere i contenziosi prevede l’incontro degli anziani delle due controparti in disputa, che si fronteggiano seduti sotto l’albero che fa più ombra. Gli anziani costituiscono una grande risorsa per le speranze di pacificazione.
Un altro aspetto importante è responsabilizzare nei confronti degli atti che si commettono, ad esempio accusando solo il colpevole ed evitando ritorsioni generalizzate contro tutta la tribù. In questo modo è la tribù stessa ad isolare le mele marce al suo interno, diffondendo al contempo un ideale di giustizia ed equilibrio che debbano essere rispettati.










sabato 15 marzo 2014

CHE FATICA

La giornata di lavoro di venerdì è servita per completare oltre due terzi della posa dei pannelli. Chi ha lavorato a terra invece, ha realizzato le strutture di alloggiamento e vi ha fissato gli inverter e i quadri elettrici. Abbiamo conosciuto un operaio della società elettrica Kenyota KLPS, che abita a Maralal, il quale ci ha spiegato come vengono solitamente realizzati gli impianti elettrici domestici in Kenya.
Leonard continua ad aiutarci, mostrando una forza nelle braccia che supera di gran lunga la nostra e assieme a lui abbiamo realizzato delle apposite canaline per contenere i fili elettrici. In questo modo i cavi dell'impianto, scendendo dal sottotetto, corrono dai pannelli agli inverter, e poi dagli inverter alla gelateria, passando nelle canaline lungo i muri esterni della struttura, completando il percorso attraverso lo scavo nella terra.



venerdì 14 marzo 2014

PIOGGIA E LAVORO

Il nostro lavoro continua, sotto gli sguardi interessati degli studenti delle scuole confinanti, accompagnato dal profumo del pane che sfornano a pochi metri da noi.
Giovedì abbiamo modo di posare una parte dei pannelli di cui è costituito l'impianto e procedere con la sistemazione della parte elettrica. Alcuni dei ragazzi che collaborano con il centro missionario ci aiutano a passare i pannelli fino sul tetto e a realizzare uno scavo che possa contenere i cavi.


 
La giornata di lavoro procede a singhiozzo con continue interruzioni causate dalla pioggia. All'equatore le piogge arrivano all'improvviso, con grossi goccioloni che percuotono sonoramente le tettoie e le fronde degli alberi, seguiti da raffiche di vento. Il cielo diventa scuro tutto d'un tratto, nascondendo il sole dietro a spesse nubi, abbassando la temperatura in maniera repentina. Gli sbalzi termici ci costringono ad adeguare di sovente l'abbigliamento e la pioggia ci impone di scendere con grande velocità dal tetto di lamiera, che si trasforma in una superficie sdrucciolevole e insidiosa.
Gli abitanti del luogo ci spiegano che la stagione delle piogge è alle porte: in Kenya le piogge si concentrano quasi interamente da metà marzo a metà giugno e da metà ottobre fino a natale, garantendo due raccolti per ogni anno.
In questi periodi le precipitazioni cadono abbondanti e quando si rovesciano sulla terra arida creano allagamenti e inondazioni, le strade diventano in breve impraticabili, i ponti crollano e i pesanti container degli aiuti umanitari affondano nel fango.


La popolazione locale tuttavia accoglie con gioa le piogge che garantiscono risorse idriche per il bestiame e acqua per le coltivazioni e le cisterne. Infatti il problema della mancanza di acqua e la difficoltà di reperire acqua pulita in Africa è estremamente consistente, tanto da essere tristemente noto.
Allora la nostra intenzione non è tanto quella scrivere qualcosa a riguardo, riportando quello che abbiamo visto con i nostri occhi, ma piuttosto raccontare come ci sia capitato di dover abbassare gli occhi di fronte a chi è abituato a sopportare sulla propria pelle le difficoltà legate alla scarsità di acqua, ma deve provvedere quotidianamente a procurarci delle bottigliette di acqua sigillate perché solo con quelle possiamo bere e lavarci i denti.