lunedì 17 marzo 2014

COSA SI MANGIA IN KENYA

In questi giorni di lavoro abbiamo mangiato ciò che hanno cucinato per noi le donne della mensa missionaria. Nonostante avessero insistito per prepararci del cibo italiano, da parte nostra abbiamo ottenuto di farci portare, quanto più possibile, dei piatti locali, per conoscere nuove ricette e nuovi sapori. In fondo una cultura diversa si comprende anche dalla cucina!


In breve tempo ci siamo accorti che ciò che ci veniva servito, era tuttavia abbondante, vario e, rispetto alla disponibilità locale, ricercato.
Interessati a comprendere ciò che succedeva oltre il cancello della struttura missionaria, abbiamo domandato in cosa consistessero le tradizioni alimentari della popolazione locale, che in questa regione è composta principalmente dalle tribù Samburu e Turkana, che si conservano fedeli alle antiche usanze di allevatori nomadi.
Naturalmente a Maralal le gelateria che alimentiamo produce gelati per la città, ma presso la popolazione tribale il regime alimentare è costituito, quasi nella totalità, da carne e prodotti ricavati da latte e sangue animale.


Non bisogna credere che questo comporti abbondanza di carne nelle diete, infatti il bestiame rappresenta l’unico patrimonio di un nucleo famigliare e non può decrescere numericamente in maniera consistente.



Ci troviamo a riflettere sulle sostanziali differenze rispetto alla nostra dieta mediterranea e sulla questione economica, essendo la carne il prodotto più facilmente reperibile, mentre frutta e verdura, quali alimenti di importazione, riservati ad una elite più ricca.
Non tardiamo a renderci conto che, quando il rifiuto verso i maltrattamenti sugli animali, le esasperazioni nei processi di allevamento, l’inquinamento e la mercificazione della vita di un animale, prende la forma di una scelta alimentare vegetariana, questa non può che essere un risultato esclusivo della società occidentale.


Vedere sgozzare una capra in queste zone è sicuramente un contenuto forte a livello razionale, perché si tratta pur sempre di una vita che viene bruscamente interrotta, ma ci colpisce molto meno a livello viscerale. Il pastore rispetta le proprie bestie in quanto animali e le tratta come prezioso cibo, senza spreco, una volta che le uccide. Senza business. Senza artificialità. Semplicemente è di questo che si nutrono i pastori, secondo una elementare necessità di sopravvivenza.

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