In
questi giorni di lavoro abbiamo mangiato ciò che hanno cucinato per noi le
donne della mensa missionaria. Nonostante avessero insistito per prepararci del
cibo italiano, da parte nostra abbiamo ottenuto di farci portare, quanto più
possibile, dei piatti locali, per conoscere nuove ricette e nuovi sapori. In
fondo una cultura diversa si comprende anche dalla cucina!
In
breve tempo ci siamo accorti che ciò che ci veniva servito, era tuttavia
abbondante, vario e, rispetto alla disponibilità locale, ricercato.
Interessati
a comprendere ciò che succedeva oltre il cancello della struttura missionaria,
abbiamo domandato in cosa consistessero le tradizioni alimentari della
popolazione locale, che in questa regione è composta principalmente dalle tribù
Samburu e Turkana, che si conservano fedeli alle antiche usanze di allevatori
nomadi.
Naturalmente
a Maralal le gelateria che alimentiamo produce gelati per la città, ma presso
la popolazione tribale il regime alimentare è costituito, quasi nella totalità,
da carne e prodotti ricavati da latte e sangue animale.
Non
bisogna credere che questo comporti abbondanza di carne nelle diete, infatti il
bestiame rappresenta l’unico patrimonio di un nucleo famigliare e non può
decrescere numericamente in maniera consistente.
Ci
troviamo a riflettere sulle sostanziali differenze rispetto alla nostra dieta
mediterranea e sulla questione economica, essendo la carne il prodotto più
facilmente reperibile, mentre frutta e verdura, quali alimenti di importazione,
riservati ad una elite più ricca.
Non
tardiamo a renderci conto che, quando il rifiuto verso i maltrattamenti sugli
animali, le esasperazioni nei processi di allevamento, l’inquinamento e la
mercificazione della vita di un animale, prende la forma di una scelta
alimentare vegetariana, questa non può che essere un risultato esclusivo della
società occidentale.
Vedere
sgozzare una capra in queste zone è sicuramente un contenuto forte a livello
razionale, perché si tratta pur sempre di una vita che viene bruscamente
interrotta, ma ci colpisce molto meno a livello viscerale. Il pastore rispetta
le proprie bestie in quanto animali e le tratta come prezioso cibo, senza
spreco, una volta che le uccide. Senza business. Senza artificialità. Semplicemente
è di questo che si nutrono i pastori, secondo una elementare necessità di
sopravvivenza.
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